Teramo non è grande, ma è a misura d’uomo. Teramo non è brutta, pur avendo le sue brutture. Teramo è a metà strada tra la brezza marina e l’imperiosità della vetta più alta dell’Appennino, il che ti dà la possibilità di avere un panorama così vario che, quando ne hai bisogno, ti conforta il cuore. Teramo, anche se non sembra, ha, o meglio, avrebbe una storia da raccontare.
Teramo è un eterno potenziale, che eternamente viene stigmatizzato dagli stessi che ci vivono.
Ci vivono, non la vivono. Perché viverla significherebbe “tastare il polso”, concretizzare ed esprimere attivamente ciò che può, anzi, pardon, potrebbe esprimere.
Ecco quale è il problema di Teramo: vige il “Ma tanto...” alternato da un vibrante “Eh, mò...” che in italiano ha il corrispettivo più vicino nel concetto di “È sempre stato così, quindi che vuoi fare?”. Una situazione che, spesso, per molti, alla lunga, se tutto va bene (e smetto di intervallare mezzo mondo con le virgole, giuro), genera uno smatramento di coglioni di dimensioni bibliche, roba che la porta della città di Babilonia è una miniatura della Lego. Se tutto va male, invece, Teramo produce nell’essere umano giovane e che non riesce ad esprimersi in loco un male subdolo, quello che chiamo apatia strisciante.
Strisciante? In che senso?
Esci con gli amici, continui a fare quel che facevi, ma fondamentalmente ti rompi le balle. Anzi, no, perché gli zebedei si sono frantumati tanto tempo fa, in una galassia che però non è lontana lontana, e quindi la conseguenza di tutto ciò è che si creano sulla tua bella capoccia tonda due bei paraocchi che non ti permettono di vedere vie alternative. Nel migliore dei casi, accetti la situazione e gestisci alla bene e meglio ciò che ti capita day-by-day, escludendo la possibilità di un bye bye verso lidi più stimolanti.
Attenzione però:
alcuni fortunatamente riescono ad intervallare sonore e poderose testate contro il muro per una città che con grandissima fatica (leggasi pochissima voglia) si muove verso qualcosa che non sia il solito orticello che dagli anni ’70 non sta crescendo più, con una forza di volontà encomiabile che permette loro di crearsi uno spazio soddisfacente, appagante.
Onore a voi, davvero. Perché parte di me vi ammira.
C’è un manipolo di personaggi umani che Teramo, a lungo andare, li stava corrodendo. O li sta corrodendo. Arrivi al punto che addirittura spostarsi anche di soli dieci, quindici chilometri ti sembra una esagerazione, un qualcosa per cui “Che palle, mi devo spostare”. Il problema primario, pardon, uno dei problemi primari di Teramo è che ad alcuni (a tanti, forse) crea immobilismo. Detta terra terra, Teramo ti fa pesà il culo, manco avessi il retrotreno di un tir attaccato al bacino con te che, di base, peseresti 20 chili ‘nghe tutt l’armatur (cit.).
Teramo, per alcuni, diventa la Bella Insofferente: vorresti rimanerle accanto, ma fa di tutto per allontanarti, con i suoi “Eh, ma che vuoi fare”, con le sue non-risposte (quanti curriculum – o curricula, se volete fare i latinisti scassamaroni – buttati), con il suo essere bella, ma sempre con quell’aria scazzata che sembra che le stai facendo un favore a rimanerle vicino.