Ai miei tempi la musica circolava su cassette TDK 60 che macinavano chilometri e chilometri stridendo contro le testine di robusti
walkman ed imponenti impianti stereo, che logoravano la loro passeggera fino a
farle avere una voce più simile a quella di un citofono, più simile a quella di
un telefono tacs con cattiva ricezione.
Ai miei tempi la musica non era un impalpabile file
all'interno di un pc, non era una stringa di parole che compaiono e scompaiono
sullo schermo di un lettore digitale luccicante, non era un delicato idolo
corruttibile al minimo errore. Ai miei tempi la musica aveva la forma di una
cassetta TDK 60, squadrata, plasticosa, ma resistente, duratura. Cadute,
polvere, schegge, cicatrici, il nastro che s'intreccia tra le testine del
walkman, l'indice, o il mignolo, o la matita gialla e nera, o la penna Bic che divengono prodigiosi
strumenti curativi che risolvono intrecci, girano, riavvolgono e rimettono al
suo posto la bruna lingua sonora, pronta ad esser accarezzata nuovamente dalla
testina pressante del piccolo eppure così tozzo eppure così inscalfibile
riproduttore sonoro portatile.
Ai miei tempi la musica non era internet, non era streaming
e facilità di fruizione. La musica era una conoscenza che veniva tramandata da
fratello/sorella maggiore a fratello/sorella più piccolo/a a suon di aneddoti,
di “Devi sentire questo, me l’ha passato il mio amico ed è difficile da trovare
in giro”, di CD e, soprattutto, di cassette TDK 60 con improbabili etichette scritte con altrettanto improbabili pennarelli o penne e registrate alla bene e
meglio, dove tra un brano e l’altro potevi scorgere qualcos'altro che cercava
di emergere ma che veniva immediatamente messo a tacere dalla sovraincisione più recente.
Ai miei tempi la musica aveva la forma di una cassetta TDK
60 che ancora oggi, ogni tanto, spunta fuori da non si sa dove. Polvere,
graffi, schegge. Un soffio, una spolverata insensibile con la mano, “play” e
riparte, come se fossero passati si e no un paio di giorni.
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